Il premio di produttività “incentivato” con la cedolare secca al 10% potrebbe salire dagli attuali 2mila euro a 3mila euro; per crescere, poi, ancora di mille euro, fino cioè a 4mila euro, in caso di coinvolgimento paritetico dei dipendenti nell’organizzazione del lavoro (oggi questa soglia è ferma a 2.500 euro).
Ad ampliarsi sarebbe anche la platea dei beneficiari, con la novità di ricomprendervi, non solo operai e impiegati, ma anche quadri e una fetta della dirigenza non apicale, con l’allargamento del limite di reddito per usufruire della tassazione agevolata, da 50mila euro, attualmente in vigore, a 80mila euro lordi annui.
Sarebbe questa l’ipotesi su cui i tecnici della cabina di regia di palazzo Chigi, coordinata dal sottosegretario Tommaso Nannicini, e i ministeri interessati (Lavoro e Mef), hanno focalizzato la lente d’ingrandimento in vista della presentazione a ottobre della legge di Bilancio.
L’allargamento dei tetti fino a 4mila euro delle somme detassate e fino a 80mila euro di reddito costerebbe il primo anno circa 200 milioni di euro, per poi salire fino 360 milioni il secondo anno, sempre aggiuntivi rispetto ai 589 milioni di euro già previsti dalla scorsa manovra per questa misura.
L’obiettivo del governo è spingere dritto sulla leva della produttività, legata alla contrattazione di secondo livello, rafforzando il pacchetto di disposizioni varate 12 mesi fa, e che hanno avuto finora un discreto utilizzo (al 14 settembre risultavano depositati al ministero del Lavoro 15.078 dichiarazioni di conformità, di cui 11.003 riferite a contratti sottoscritti nel 2015).
Il nuovo intervento, spiega il consigliere economico di palazzo Chigi, Marco Leonardi, conferma lo stretto legame tra il premio di risultato e la contrattazione aziendale o territoriale; e, anche, la possibilità di convertire il premio agevolato nei benefit ricompresi nel welfare aziendale (che rimangono completamente detassati, e quindi non più soggetti neanche all’imposta sostitutiva del 10%). Qui ci sarebbe però una novità: se il premio viene sostituito con spese sanitarie o con misure di previdenza complementare non scatterebbero, su queste somme, gli attuali limiti di deducibilità (fissati rispettivamente in circa 3.600 euro per le spese sanitarie; e poco più di 5mila euro per i versamenti alla pensione integrativa).
Un’altra novità allo studio dell’esecutivo è legata alla possibilità (che verrebbe ammessa) di erogare, più facilmente, i premi di produttività sotto forma di azioni. Oggi i piani di azionariato diffuso prevedono forme di incentivazioni fiscali nel Tuir: «La normativa vigente – evidenzia il giuslavorista, Giampiero Falasca – stabilisce infatti che non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti, ma solo per un importo non superiore complessivamente nel periodo d’imposta a 2.065,83 euro, e a patto che siano rispettate alcune condizioni, come quella che non devono essere riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro o comunque cedute prima che siano trascorsi almeno tre anni». L’intervento allo studio del governo consentirebbe, pertanto, di innalzare la soglia del valore del premio (in azioni) che non rientrerebbe nell’esenzione dalla retribuzione imponibile.
L’idea di rafforzare la detassazione dei premi di risultato dimostra che la misura varata lo scorso anno «non è stato un intervento spot – sottolinea il numero uno dell’Anpal, e consigliere giuridico di palazzo Chigi, Maurizio Del Conte -. Ora puntiamo a renderlo un po’ più appetibile. L’auspicio, adesso, è che le imprese ci credano fino in fondo e in tutti i settori, non sono in quello industriale».
(C. Tucci, www.ilsole24ore.com, 27.09.2016)