(www.pietroichino.it, 01.08.2016)
Pubblico qui due dei numerosi messaggi che ho ricevuto nei giorni successivi alla pubblicazione dell’editoriale telegrafico La nuova etica pubblica della spesa veloce, del 24 luglio 2016 – Seguono le mie risposte, che valgono ovviamente anche per quelli non pubblicati.
Caro Ichino, la sua riflessione sulla decontribuzione e defiscalizzazione delle somme destinate al welfare aziendale mi ha deluso molto. Mette in ombra e disconosce il vero senso di questo provvedimento legislativo giudicando il positivo effetto sulla domanda aggregata quale ragione finale della legge. Credo, invece, che essa, per la prima volta in Italia, offra un strumento semplice e di facile applicazione per incentivare la partecipazione dei dipendenti alla vita della fabbrica. Risultato difficile da acquisire per le riluttanze sia dei datori di lavoro che dei sindacati. Ma questo è un altro discorso. Saluti
Paride Saleri
Brescia
Mi dispiace di essere stato motivo di delusione per Paride Saleri e per alcuni altri lettori, che mi hanno scritto messaggi analoghi a questo. Chiedo a tutti, però, di chiarirmi meglio in che senso, secondo loro, il regime fiscale del c.d. welfare aziendale introdotto dalla legge di stabilità 2016 favorirebbe “la partecipazione dei lavoratori alla vita dell’azienda”, dal momento che
a) l’esenzione fiscale non è condizionata né alla fonte contrattuale dell’erogazione, né ad alcuna connessione tra il beneficio e pratiche partecipative o di informazione circa l’andamento aziendale;
b) i beni e servizi il cui acquisto è facilitato dall’esenzione fiscale possono essere scelti dal singolo lavoratore individualmente, senza alcuna connessione con le scelte operate dai colleghi. (p.i.)
LA REPLICA DI PARIDE SALERI
La legge di stabilità 2015 ha introdotto e normato, per la prima volta in Italia, alcuni temi riguardanti il lavoro che , fino ad ora, erano demandati alla contrattazione sindacale. Si consolida e migliora il vantaggio fiscale sul premio di risultato , si introduce – ex novo – la partecipazione agli utili dei dipendenti ed infine viene stabilita una prima norma per il welfare aziendale. Nella mia fabbrica, operante nel settore meccanico con 150 dipendenti, queste novità sono state accolte con molta attenzione e , nel loro insieme , giudicate positivamente : dallo staff direzionale e dai dipendenti. La RSU ha accolto con convinzione la proposta di valutare trimestralmente i risultati economici e di monitorare i dati del controllo di gestione al fine di definire l’ammontare delle somme sostenibili da destinarsi al welfare. Si è quindi attivata una dinamica che, con la partecipazione della RSU, porterà a indicare i contenuti dei servizi del welfare aziendale ed a connetterli con l’efficienza di tutto il sistema.
Lei ha pienamente ragione quando mette in rilievo che la legge non stabilisce nessi tra pratiche partecipative e facilitazioni fiscali . Se lo facesse, però, lascerebbe adito alla critica di interferenza in faccende che devono essere gestite dalle parti. Non sono d’accordo, invece, con la sua considerazione critica sul dipendente che sarebbe forzato ad una scelta di consumo collettiva e non individuale, pena la perdita del vantaggio fiscale. Questa forzatura è, ai miei occhi, positiva. Contribuisce al senso di appartenenza, di lavoro collettivo che, se ben fatto, ti dà benefici. […] Due anni fa sottoscrivemmo un contratto aziendale che stabilisce la regole per attivare la partecipazione agli utili. Le nuove norme hanno reso molto più facile la sua applicazione. Abbiamo un asilo nido interno, facciamo lezioni di lettura del bilancio aziendale e la trasparenza della gestione è un dato acquisito. La ringrazio, comunque, per la pacatezza/gentilezza della sua prima risposta.
Paride Saleri
Sono favorevolissimo anch’io alla parte delle nuove norme che ha favorito le pratiche partecipative e ha introdotto un forte sgravio fiscale per la parte della retribuzione collegata alla produttività o alla redditività dell’azienda. Nel mio editoriale telegrafico della settimana scorsa mi sono limitato a osservare che la disposizione ulteriore, di esenzione fiscale totale per i voucher erogati dall’impresa, coi quali si possono acquistare servizi e beni di varia natura (in larga parte non riconducibili alla nozione di welfare, propriamente intesa), non ha alcun nesso né funzionale né genetico con le pratiche partecipative. Infine non ho espresso alcuna “considerazione critica sul dipendente che sarebbe forzato a una scelta di consumo collettiva”: al contrario, ho osservato che i beni o servizi acquistabili con i voucher aziendali esenti da imposta non sono affatto oggetto di una “scelta di consumo collettiva”: ciascun beneficiario può scegliere liberamente nel vastissimo “paniere” disponibile, dai corsi ai viaggi, dagli spettacoli, al baby-sitting, dalla badante ai ai ticket-restaurant. Stante questa libertà di scelta individuale, mi sembra però che l’unica spiegazione ragionevole dell’esenzione fiscale consista nell’aumento dei consumi interni. Per ora, dai messaggi ricevuti non ho tratto alcuna spiegazione ragionevole diversa da questa. (p.i.)