Pietro Moroni – L’economia sociale di mercato è una risposta? Capire l’ordoliberalismo

(www.pandorarivista.it, 02.05.2016)

Impugnare, come spesso avviene, da sinistra, la bandiera dell’economia sociale di mercato come una sorta di conquista o di posizione ideale, rischia di essere una posizione molto ingenua, specie se, come spesso avviene, neanche ci si cura di provare a capire di che cosa si tratti.

Vi sono importanti uomini politici, anche di primo piano, magari anche con un solido background politico e intellettuale, che dimostrano di non aver neanche compreso cosa sia, come sia nata e cosa prevedesse in origine l’economia sociale di mercato. Eppure in molti hanno scritto sul tema, a cominciare da Michel Foucault con il suo importante libro-seminario “Nascita della biopolitica”. L’argomento è stato al centro dell’interesse di diversi intellettuali di primo piano ed è stato affrontato con serietà e profondità d’analisi. È dunque importante fare chiarezza su cosa si intenda quando si parla di economia sociale di mercato e dell’ideologia che si sovrappone ad essa, comunemente chiamata ordoliberalismo tedesco. Ordoliberalismo ed economia sociale di mercato si basano su fondamenti teoretici elaborati dalla Scuola di Friburgo, che è forse la scuola di pensiero liberale che ha avuto più fortuna nel nostro continente.

In primo luogo è opportuno partire dalle circostanza della nascita dell’ ordoliberalismo, come dottrina e come parola. Esso deriva dalla pubblicazione accademica “ORDO”, fondata da economisti che potevano vantare una formazione umanistica considerevole che tornò utile nelle loro analisi storiche del fenomeno economico, formazione dovuta alla loro vicinanza intellettuale alla Chiesa Cattolica e al protestantesimo. Emblematico in tal senso è Wilhelm Röpke, il cui pensiero economico è coerente con la dottrina sociale della Chiesa Cattolica, al punto da intitolare la sua opera economica d’esordio Civitas Humana. Si consideri inoltre che Walter Eucken (1891-1950), forse il padre più illustre dell’economia sociale di mercato, era figlio del filosofo Rudolf Eucken (1846-1926), premio Nobel della Letteratura, che introdusse i figli alla filosofia leggendo loro le opere di Aristotele in greco antico. Un’impostazione culturale e mentale che l’Eucken economista avrebbe conservato. Fra gli anni ‘30 e ‘50 Eucken e i suoi colleghi sviluppano quello che oggi conosciamo come ordoliberalismo, durante gli anni della Grande Depressione, della nascita del Keynesismo e, nella loro Germania, del trionfo di Hitler e del Nazionalsocialismo e della loro conseguente caduta. Questo clima culturale influenzò pesantemente la Scuola di Friburgo, che si sviluppò in maniera assai differente non solo dalle scuole neoliberali d’oltremare negli Stati Uniti, ma persino dalla (geograficamente) vicina Scuola Austriaca, la quale ha esercitato più influenza a Chicago di quanto non vi sia riuscita a Friburgo. Gli ordoliberali in questo periodo, nonostante alcuni tentativi di influenzare la politica economica nazionalsocialista, si dedicarono allo studio di un nuovo modello economico e sociale da applicare in Germania nel suo dopoguerra. Per elaborare il loro modello economico terranno ben presenti, come esempi negativi, il Nazismo, il Keynesismo e il Socialismo russo, ugualmente considerati distruttori della razionalità economica.

Quali erano e quali sono ancora le differenze fondamentali fra ordoliberalismo e il neoliberalismo americano e i principi liberali classici incarnati da Von Hayek? In primo luogo, l’ ordoliberalismo ha una visione molto disincantata e pragmatica della realtà del libero mercato e della competizione. Per gli ordoliberali il mercato, lasciato a se stesso, non genera la concorrenza perfetta sul lungo termine. Curiosamente, concordando coi marxisti, riconoscono che esso generi monopolio sulla base di un discorso di analisi storica che ha sempre visto l’emergere di monopoli o oligopoli che hanno finito per bloccare ogni speranza di libera concorrenza. La concorrenza perfetta rimane però l’orizzonte ideale che gli ordoliberali vogliono raggiungere. Ma come raggiungerla, se il mercato, lasciato libero a se stesso, sul lungo termine genera solo accumulazione? L’ordoliberale non è un keynesiano: l’intervento statale diretto nell’economia non viene contemplato. Non è un tabù morale come per Von Mises o Nozick. Gli ordoliberali non hanno tabù morali perché, come già i fisiocratici, non ragionano in termini di diritti naturali (senza intendere che essi non credano in essi o nella loro importanza; per il cattolico Röpke essi sono centrali nella costruzione di un giusto ordine sociale). Quando i fisiocratici domandavano al Re di Francia di non attaccare la proprietà privata non agivano e non motivavano la loro richiesta sulla base della legittimità o meno del potere monarchico nei confronti delle vite e dei beni dei suoi sudditi, ma sulla base dell’utilità e della convenienza: poiché nessuno può gestire dei beni meglio di chi da essi trae e fa dipendere il proprio bene individuale, intromettersi nel processo economico non farebbe altro che danneggiare la produzione di benessere, rendendo l’intera economia meno efficiente, il regno meno prospero e riducendo quindi gli introiti fiscali del Regno, danneggiando quindi in ultima analisi anche il Re stesso. Così come un agricoltore ha il potere di tagliare un albero da frutto per ricavarne legna da ardere, il potere sovrano, monarchico o democratico che sia, ha il potere di intervenire nella vita economica delle persone. I fisiocratici, senza aderire alla dottrina giusnaturalistica, contribuirono così a fondare la dottrina del laissez-faire (assieme ad altri protoliberali francesi e ovviamente ad Adam Smith), certamente la più importante e rappresentativa politica economica della tradizione liberale. Secoli dopo i fisiocratici, gli ordoliberali riprendono questa tradizione interpretativa della realtà. Il compito dell’economista è quindi, in quest’ottica, spiegare al potere sovrano che abbattere un albero da frutto è poco saggio e che, nonostante l’immediato ricavo, si risolverà in un danno. Se invece l’agricoltore avrà il senno di lasciare che l’albero viva e dia frutto, ne trarrà guadagno. Ma finisce qui, per gli ordoliberali, il compito dell’economista e dello stato? No. Così come l’agricoltore può intervenire per creare un ambiente favorevole alle proprie piante, in maniera che esse non si ammalino o che diano più frutto, lo stato, seguendo il consiglio dell’economista ordoliberale, può promuovere e rendere più efficiente la vita economica dei propri cittadini e quindi dell’intero paese, intervenendo in quello che gli ordoliberali chiamano“sistema” o “quadro”. Da qui emerge l’importanza del potere pubblico nel costruire un quadro o sistema legale, sociale e infrastrutturale funzionale a una vita economica sana. Tutto viene ordinato per garantire che il capitalismo funzioni e non degeneri in monopolio, ma si avvicini sempre più all’utopia del libero mercato a concorrenza perfetta, unico sistema economico che genera benessere per tutta la società. Condizioni irrinunciabili e necessarie per la Scuola di Friburgo sono:

  • le famose regolamentazioni su impresa e commercio, pensate per proteggere la concorrenza;
  • una politica fiscale responsabile per mantenere il pareggio di bilancio;
  • una politica monetaria sotto la responsabilità di una banca centrale indipendente col compito di tenere bassa l’inflazione e di mantenere la stabilità monetaria;
  • privatizzazione dei servizi e dei beni pubblici, antitetici al progetto di concorrenza perfetta;
  • mantenimento di un minimo indispensabile di redistribuzione del reddito attraverso tassazione progressiva e salario minimo, necessario al mantenimento dell’ordine sociale.

Altre proposte, mai messe in pratica per ragioni che vedremo a breve, erano più estreme: per fare un esempio illustre, citato da Michel Foucault nel suo libro, Nascita della Biopolitica, gli ordoliberali argomentavano che le città tedesche fossero troppo grandi e troppo densamente popolate per sostenere una vita socio-economica sana per l’economia sociale di mercato, quindi se ne proponeva il restringimento con la suddivisione della popolazione in eccesso verso altre nuove città più piccole da accrescere o costruire da zero.

Emerge chiaramente un progetto socio-economico liberal conservatore, al punto che Röpke, a ragione, definiva l’ ordoliberalismo conservatorismo liberale, ossia la sintesi di un progetto economico liberale con un progetto sociale (cattolico) conservatore.

Tuttavia l’economia sociale di mercato non è, o non appare, così radicale. Per come la conosciamo, l’economia sociale di mercato presenta un forte ruolo dei sindacati, la Mitbestimmung (cogestione), tutele sociali e un importante welfare state, soprattutto in campo sanitario. La ragione è nella storia della Germania e nella consueta resistenza che la realtà oppone ai programmi che vengono messi in atto nel tentativo di cambiarla. Gli ordoliberali, benché avessero un’indubbia influenza sulla CDU tedesca al punto che Ludwig Erhard, Ministro dell’Economia sotto Adenauer, ne era una diretta espressione, non riuscirono mai a far accettare completamente e senza riserva la loro agenda alla CDU e alla Germania in genere. Già nel 1948 Erhard venne pesantemente criticato per le sue restrizioni sul credito, che a parere degli industriali e degli economisti tedeschi non ordoliberali ostacolavano la ripresa economica, ma negli anni successivi, nonostante la Wirtschaftswunder, il miracolo economico tedesco, avesse coronato i suoi sforzi e la popolarità di Adenauer, la CDU non riuscì mai a far proprio lo spirito delle sue proposte e lavorò sempre per ammorbidirle o impedirle, soprattutto per quanto riguarda le norme anti-trust, che avrebbero danneggiato gli interessi della grande industria vicina al partito. Da sinistra e dai sindacati vennero invece le resistenze alle sue proposte di privatizzazione e riduzione del welfare state tedesco. Lo stesso Adenauer era scarsamente interessato nello smantellare il welfare state bismarckiano che rimaneva un importante presidio contro il malumore e l’instabilità sociale che avrebbe potuto favorire l’avversaria SPD di Schumacher. Questa realtà indusse Erhard a considerare l’economia sociale di mercato in Germania in declino nel ‘57 e, suo malgrado, fallita nei primi anni ‘601. Nonostante fosse diventato Cancellerie e Presidente della CDU in seguito alle dimissioni di Adenauer nel ‘63, non riuscì a invertire il corso di quell’indebolimento dell’ ordoliberalismo, né a cambiare la linea della CDU, di cui non era neanche un membro iscritto. In seguito, con la vittoria della SPD di Willy Brandt, l’ordoliberalismo tedesco subì un ulteriore vulnus: il welfare state venne espanso, realizzando il sistema di sicurezza sociale che conosciamo oggi (la spesa sociale raddoppiò nel giro di cinque anni) e il sistema sanitario divenne sempre più universale. Il colpo definitivo giunse però sotto il Cancellierato di Helmut Schmidt, il quale rese la Mitbestimmung, la famosa cogestione, un asse essenziale del modello produttivo tedesco. Oggi, a differenza dei suoi padri fondatori, lo stesso Ministero dell’Economia e Finanze della Repubblica Federale Tedesca riconosce nel welfare state il secondo pilastro dell’economia sociale di mercato2.

C’è però da evidenziare come questo modello sia oggi almeno parzialmente in crisi, soprattutto per quanto riguarda il suo secondo pilastro. Ne è un esempio la cogestione, la cui applicazione si è andata via via riducendo per molteplici cause: la cogestione è obbligatoria solo per le aziende con almeno 2000 impiegati, e si applica in forma ridotta per quelle con 500-2000 dipendenti (i lavoratori eleggono un terzo invece della metà del consiglio di sorveglianza), pertanto sia la de-industrializzazione che l’affermarsi di un modello aziendale più snello, ha lasciato scoperto un numero sempre maggiore di lavoratori tedeschi. In particolare, i länder della ex-DDR sono rimasti particolarmente marginalizzati nel contesto della Mitbestimmung, proprio a causa della contemporaneità fra la fine dello stato socialista, con tutte le sue fabbriche, e la de-industrializzazione europea. Si aggiunga adesso l’impatto delle riforme Hartz che hanno revisionato il sistema di welfare tedesco, introducendo minijobs e midjobs e rivedendo al ribasso l’entità e le condizioni del pagamento dei sussidi di disoccupazione. Evitando di deviare troppo il discorso, ci limitiamo a ricordare la clausola più interessante, per la nostra analisi sull’ ordoliberalismo, della Hartz IV: la condizione per la quale un disoccupato può essere posto di fronte all’alternativa fra accettare una qualsiasi offerta di lavoro e il perdere o vedere ridotti i propri benefit di disoccupazione. Senza entrare troppo nel merito, questa forma di ultimatum, unita ad altri effetti della riforma quali l’aumento del precariato e la riduzione di sussidi e salari, segna un chiaro ritorno dell’ottica ordoliberale: il lavoratore che perde il lavoro non solo deve rimanere necessariamente sul mercato, ma non deve essere in condizione di parità contrattuale. In tale modo il sistema, per usare il vocabolario ordoliberale, fa sì che il lavoratore disoccupato rimanga nel mercato e sia esposto ad esso, senza essere aiutato in sede di contrattazione dalle misure di sostegno al reddito le quali, come abbiamo visto, per forma ed entità non sono in grado di influenzare la posizione del lavoratore nei confronti del datore di lavoro.

Ecco dunque la breve storia dell’economia sociale di mercato, dal disegno ordoliberale di Erhard, all’offensiva socialdemocratica di Brandt e Schmidt, fino al presente sistema post-Hartz IV patrocinato da Schröder. È facile vedere in questi passaggi la dialettica hegeliana di tesi, antitesi e sintesi. Con essa abbiamo anche discusso dell’ordoliberalismo e della sua agenda, che ancora oggi influisce sulla classe dirigente tedesca. Sarà ora più chiaro perché non si dovrebbe difendere o propugnare l’economia sociale di mercato tedesca: in primo luogo perché, se oggi essa comprende misure apprezzabili come il welfare state e la cogestione, questo è dovuto a chi si era opposto in prima istanza al disegno iniziale. In secondo luogo perché tali misure sono correntemente in crisi. Infine, perché l’economia sociale di mercato, tranne l’eterodosso periodo di governo e di riforme socialdemocratiche, è risolutamente schierata contro il potere dei lavoratori e della loro associazione: lo è in teoria, per bocca degli stessi economisti afferenti all’ ordoliberalismo, come lo è nella pratica, a causa della compressione dei salari, della precarizzazione del lavoro e della condizionalità dei sostegni sociali. Servirà molto più che l’apprezzamento per una formula di compromesso interna alla storia tedesca, e sarà necessaria molta più audacia e capacità di reinventarsi per permettere una rinascita del pensiero e della politica socialista in Europa.


1# Mierzejewski, Alfred C. (2004), “1957: Ludwig Erhard’s Annus Terribilis”, Essays in Economic and Business History 22: 17–27

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